mercoledì 13 febbraio 2008

Quando a Casalnuovo…

Uno spaccato di storia calabrese nel periodo dell’unità d’Italia

Ogni paese ha le proprie storie, spesso tramandate per via orale e per questo motivo a volte poco veritiere. Non è il caso del tragico avvenimento accaduto a Casalnuovo, oggi Villapiana, poco più di un secolo fa. Dopo l’unità, avvenuta il 17 marzo del 1861, in Italia erano presenti 9 cittadine col nome di Casalnuovo. Ciò poteva provocare problemi amministrativi e quindi l’8 novembre 1862, accogliendo le disposizioni prefettizie, il consiglio comunale di Casalnuovo decideva di cambiare il suo nome in Villapiana. Probabilmente in questa scelta influì l’episodio accaduto il 17 ottobre del 1862. Nel posto di guardia del comune di Casalnuovo erano di servizio il milite Stefano Pirilli e il Sergente Francesco Zito. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno il milite si accorse con grande meraviglia che la statua del re Vittorio Emanuele II era stata decapitata. La notizia si diffuse subito in tutto il paese e per il timore che l’accaduto fosse considerato un gesto di ribellione verso il re, si decise di farlo passare per un fatto accidentale. Si inviò il verbale della perizia al tribunale di Castrovillari, in cui si attribuiva la rottura della statuetta a un mattone caduto dal soffitto. Per accertamenti arrivarono in paese, inviati dalla prefettura, il delegato di pubblica sicurezza Luca D’Avanzo, il 19 ottobre, e due giorni dopo un distaccamento di fanteria guidato dal maggiore Felice Cao. Facendo delle indagini il delegato si convinse che la caduta del mattone fosse tutta un’invenzione, così fece abbattere il posto di guardia e imprigionare tutti i componenti del corpo portandoli a Cerchiara per essere giudicati. Luca D’Avanzo accompagnato dal maggiore Cao col suo distaccamento di fanteria giunti presso il torrente Satanasso dopo un ultimo interrogatorio fecero arbitrariamente inginocchiare il Pirilli e lo Zito e dopo averli derisi dicendo loro di confessarsi con le pietre li fecero fucilare. Dagli atti del processo e dalle testimonianze si appurò che il maggiore era ubriaco e che il D’Avanzo era una persona violenta e con un passato pieno di condanne. Venne istituito un processo nei confronti di queste due, ma di questo non si ha traccia. Questo tragico frammento di storia è stato rinvenuto dall’avvocato Giuseppe Maiuri presso l’archivio di stato di Cosenza. Quando ci fu l’unione d’Italia si parlava e si sperava di avere un paese libero e senza ingiustizie però questa è la testimonianza che nel mondo ci saranno sempre ingiustizie, anche se si cerca in ogni modo di evitarle.

Gianluca Maiuri

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